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lunedì 2 aprile 2012

Emozione bottana - Ep. 1/2







Nonna Angela, Catania, anni 50

È agosto. A Nonna Angela ci fuma la testa. Ma non è il caldo

"cu è 'stu cunnuto ca si potta i gaddìne?"

In effetti... Come minchia fa 'sto "cunnuto" a fregarsi le galline se la rete del pollaio non ha segni di scasso? E poi perchè le galline, se potrebbe fregarsi il maiale coinquilino? Nonna Angela non si dà pace e si apposta 'ncazzusa su una seggia impagliata. A quei tempi, mio padre è adolescente ma ha ricordi HD. Come quando la famiglia guardava una delle prime tv e ogni sera una signorina cotonata presentava ai Marino i programmi di mamma Rai. Ricorda che quelle sere Nonna Angela si metteva in ghingheri, sedeva dritta dritta e rispondeva alla signorina con ammiccamenti e sorrisi di circostanza. "Ti vede" urlava furiosa a mio padre. Ma lui niente... continuava a fàrici i corna a chidda buttana da'a Rai. La storia delle galline se la ricorda bene. Le grida, il pugno rosso alzato, la nuvola di polvere con dentro Nonna Angela ansimante e sudata. Ricorda il maiale a terra, ammazzato a suon di pugni. 'U cunnuto era il maiale che finì sano sano in una buca di terra. Troppo caldo. Niente insaccati. L'ira d'agosto fa a pugni col business.

Nonno Mario, Catania, anni 70
Il figlio di Nonna Angela è Nonno Mario. Nonno Mario era uno spietato cecchino di conigli. Ricordo ancora il frutto delle sue ammazzatine: conigli a testa in giù sui ganci della cucina, pellicce che pendono dal loro capo come un accappatoio e scoprono - bianca e viola - la pelle più nuda che abbia mai visto. Papà dice che una mattina ne rincorrevano uno tosto. A un certo punto, la bestia abbandona la sciara e si ferma a prendere fiato nel bel mezzo della provinciale per Catania. È strada di curve e scarso traffico, il bersaglio è vicino e il piombo in canna offre ben due possibilità di fare centro. Condanna a morte insomma. Poi il rumore del vento porta quello di una corriera. La corriera si ferma e sbuffa davanti al coniglio. Tutti guardano dai finestrini manco fossero al cinematografo. Ora la condanna a morte è diventata sfida. Nonno Mario non è del continente e il fucile ci trema. Spara e manca l'impossibile. Spara ancora. Il coniglio fugge. Dopo interminabili secondi, anche la corriera se ne va. Ma per Nonno Mario, quella corriera resterà lì per sempre, a fissarlo con tutti quegli occhi di cristallo, a ricordare a lui e a tutti i Marino quanto l'emozione è bottana.

(domani il secondo ridanciano episodio!)

giovedì 26 maggio 2011

È pericoloso sporgersi








Danesi, tedeschi, olandesi viaggiavano seminudi con un solo pacchetto di crackers. Ricordo che all'altezza di Napoli ci chiedevano quanto mancasse per la Sicilia. Non credevano ai nostri gesti: "metà strada". Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, l'acqua e i panini di mia madre hanno salvato la vita a decine di europei. Ci andavamo ogni anno in Sicilia. Nel mese più sbagliato, ad agosto. Un caldo insopportabile. Ricordo che bagnavo le mie braccia filiformi e poi, come ali, fuori dal finestrino in corsa. Ne pas se pencher au dehors, Nicht Hinauslehnen, bla, bla, bla... quaranta gradi all'ombra ma la pelle sembrava gelarsi. Ricordo la cuccetta. Pendevo ad altezze siderali o schiacciato da grandi sconosciuti. Immerso in un buio squarciato da mille luci impazzite, bianche, gialle, arancioni. Ricordo che era bello lasciarsi scuotere dal treno che sferragliava e attraversava i miei paesi, le mie montagne, i miei campi, i miei fiumi. Sempre meno fiumi. Sempre più secchi. Ricordo la paura dei ladri la notte. Vaporizzatori di sonniferi, Scassinatori di porte scorrevoli, Corruttori di ferrovieri dello Stato. Il mitico arancino sul ponte della nave era l'ultimo atto di un viaggio epico che durava un giorno e mezzo. Ci volevano altre 2 ore per aggirare l'Etna. I miei nonni a San Giovanni Galermo stavano. A quei tempi, Galermo per me era una scritta su un muro di pietra tra i fichi d'india: "VOGLIAMO LA LUCE". Poi una curva e appariva l'agrumeto di nonno Mario. Un eden strappato alla sciara. Una volta entrati, non ne uscivamo più. La Sicilia per me finiva lì.

Solo qualche volta si andava dalla zia a Vaccarizzo, un paesino di seconde case abusive, a sud di Catania. Ci sono tornato recentemente. Tutto è più piccolo di come lo ricordo. Tutto più bello, curato, condonato. Nelle stradine di accesso al mare, incredibili piante esotiche si piegano sane e pesanti su di me. Sbuco sulla spiaggia. Il vento africano che mi arriva in faccia è di un erotismo imbarazzante. Tocco coi piedi la sabbia. È sera. I "lillini" di Catania brillano in lontananza e mi bloccano la gola. Era quella la spiaggia dove una mattina si gonfiava al sole d'agosto il cadavere di una pecora. Era quella la spiaggia da dove mio cugino Mario - il più bello di tutti - partiva alla conquista di femmine. Era quella la spiaggia dove mio fratello Mario (ci chiamiamo tutti un po' Mario in famiglia) una notte cercava di prendere le lucine di Catania. Ho un anno meno di lui, ma riesco a vederlo a 2 anni che tende le sue manine all'orizzonte urlando: "lillini... lillini...".

È stata una frase di Edo a farmi ricordare. Facevo il padrino al battesimo di Anita. Alla fine della cerimonia, Edo si avvicina con un'aria più anziana del solito.

"Papi"
"M?"

"È vero che quando non ci sarà più il papà di Anita tu andrai da lei?"
"Si, io sono il padrino. Però il papà di Anita è più giovane e quindi..."
Disperato, taglia corto: "E quanto hai intenzione di stare?"

In quel momento si spalanca il cassetto di un ricordo precisissimo. Siamo a Vaccarizzo. Mio padre si alza e scruta l'orizzonte. Non sa nuotare ma non ne può più di stare lì con noi, su quella spiaggia, su quella Sicilia da cui un secolo fa è fuggito. Prende il materassino e va. Cinque minuti dopo scrutiamo l'orizzonte disperati. Mio padre è un piccolissimo puntino verso le acque territoriali libiche. In lacrime guardiamo la mamma. I suoi denti bianchi scintillano al sole mentre insulta col pensiero il marito in fuga.
Con una frase di Edo, in un secondo, io attraverso quasi quarant'anni di vita, quasi 2000 chilometri di terra. E capisco mio padre. È pericoloso sporgersi, ma che bello.