martedì 14 ottobre 2014

Ogliastra, provincia di Atlantide

A più di duecento chilometri tra il set di Olbia e il nulla divino di Villasimius, c'è l'Ogliastra. Spiagge a schiena d'asino con a oriente il mare infinito e a occidente un tiepido stagno che lotta per non evaporare. I fichi d'india pendono da pendii riarsi, bucati da fiumi sotterranei che, quando decidono di esistere, sanno fare paura. Un'edilizia anarchica e misera ha raso al suolo l'architettura di granito, promemoria di una povertà da rimuovere il più in fretta possibile (vedi fotografie di Franco Pinna). Stradine scarse e irragionevoli, percorse da impolverate automobili senza autisti (i sardi sono bassi), puntellate di botteghe con titolari fantasma (i sardi sono molto bassi).

Il popolo italiano è dall'altra parte dell'oceano Mediterraneo: Arbatax, Lotzorai, Goloritzè, Bau Nuraxi, Ispuligi de Nìe... i toponimi non parlano latino e greco, ma di ciò che resta della sprofondata Atlantide. Paesini che non sanno comunicare tra loro se non con differenze e distinguo; ognuno ha la sua lingua, la sua cucina, il suo ballo, il suo canto, la sua religione...  Percorri paesi e volti e capisci perchè qui Mussolini ha perso la sua guerra di omologazione del popolo italiano. Qui il popolo italiano non c'è. Mangi, prendi il sole, cammini, scali... ma quando riemergi da tutto questo ben di Dio, addosso non ti resta neanche un granello di polvere. Torni subito in te. Anzi, non sei mai stato così te stesso. L'Ogliastra è il posto che mi ha cambiato meno. Perfino a Pantelleria mi veniva voglia di comprare un dammuso o aprire un bar sulla spiaggia (l'unica). Qui no. Qui tutto è disperatamente e per sempre solo dei sardi. I bottegai stessi, la versione più social del popolo dell'Ogliatra, esibiscono sorrisi imparaticci, il tempo di un acquisto. Volti che sono supporti naturali di diffidenza o stupore. Che sei venuto a fare qui? Cosa vuoi da me? Non ti basterà venire fuori stagione per stanarmi l'anima. Tu non mi avrai mai. L'Olgiastra è mia.

Non mi è mai successo di stare in un posto come sono stato qui. Estraniato e estraneo. La natura selvaggia e l'assenza di veri abitanti, mi ha spinto a guardare le cose con l'intensità di un presocratico. Su quelle spiagge, senza conchiglie a distrarmi, ero un filosofo-scienziato in prestito alla corte di Atlantide. A ragionare sulle cose così, i ragionamenti mi portano lontanissimo. Oltre il mare e la terra, fuori dall'atmosfera. Onde di 3 metri mi sbattevano bollenti in faccia e mentre mescolavo le mie ossa ai sassi della riva, penso alla potenza della luna. Affondo sulla sabbia grossa come sale e valuto il mio peso scaricato attraverso i piedi, piantato nel cuore della terra umida. Il buio profondo delle spiaggie sotto la gabbia di stelle splendide e lontane anni luce, mi dimostrano scientificamente che l'infinito è reale e si può comprendere in un solo sguardo. Dalla nave ho visto il collasso delle pareti di terra nel mare e ho intuito il movimento della crosta terrestre e del tempo che macina per sempre e l'energia del sole dimenticato acceso, a bruciare le sue finite riserve di elio. E poi i fortunatissimi pesci e la foca monaca che di tutte le foche è quella che non ti aspetti che si estingua. Non per affogamento perlomeno.

Le poche volte che ho incontrato grandi masse umane mi sentivo come un antropologo in Africa. Le processioni religiose. Davanti gente in costumi elegantissimi. Panni neri, bianchi e rossi e copricapi di alto design. Non c'è un viso timido, incerto. La processione procede senza incertezze. Davanti petti nudi che grondano antichi ori di famiglia, bimbi duri e sereni, suonatori magici che soffiano, soffiano e il fiato non lo prendono mai. In mezzo Dio, Gesù, la Madonna, frammenti di dita, denti spezzati, capelli, scheggie d'ossa di Santi, tirati dai più grandi buoi del paese. Dietro il popolo che cammina, prega, saluta tutti, si apre e si chiude in due falangi sacre per evitare la merda dei buoi lasciata al centro della strada. Sacro e profano.

Oggi, sotto la pioggia di ottobre, ripenso ad Atlantide. E penso che non ho mai staccato tanto in vita mia.

martedì 7 ottobre 2014

Retorica

Sono nella sala d'aspetto della stazione. Correggo testi sul mio portatile. Alzo un attimo gli occhi nella zona dove di solito trovo le mie soluzioni. Poi li abbasso. Un secondo e tutti i miei pensieri vengono inghiottiti dallo squarcio sul muro. Il monumento di pietra e cristallo è sempre lì a ricordarmi la strage di Bologna.

Quello squarcio ogni volta mi attrae come un bambino. Ancora oggi lo trovo bello. Una curva verso il cielo di un'eleganza disperata. Chissà perchè la progettazione dei monumenti commemorativi non è corso di laurea delle facoltà universitarie di architettura. Sarebbe una perfetta palestra per misurare la sensibilità dei futuri architetti. Professore di Composizione Monumentaria. In un paese come il mio, così maldestro a maneggiare la retorica e la memoria, voglio che sia un corso obbligatorio.

Scorro lo sguardo sullo squarcio. Forse anche oggi, ricordo. È il 1 agosto 1980. Io e la mia famiglia aspettiamo proprio sul binario 1 della stazione di Bologna il treno per Catania, il treno per l'agrumeto dei nonni. Il treno è in ritardo. Mentre aspettiamo, mia mamma vede un signore con uno strano pacchetto. Lo appoggia su un ripiano. Se ne va.

"Bimbi, allontaniamoci un po'… mi sembra una bomba".

Io e mio fratello, obbediamo. Abbiamo fretta di tornare a rincorrerci tra le valigie e mio padre.
Aspettiamo ancora.
Niente treno.

"Scusi, il treno per Catania?"
"Ma non ha sentito l'annuncio del cambio binario? Corra, sta per partire!!!"


Nel sottopasso rimbomba il siciliano di mio padre che insulta le FS. Sono anni di vagoni brutti ma umani con porte che decidi tu quando aprire e quando chiudere. Quella porta mio padre la apre che il treno è già partito. Ci saltiamo dentro, evitando così di tornare allo stesso binario 24 ore dopo. Il 2 agosto 1980, il giorno della bomba. Quella vera.

Per la prima volta, oggi contemplo quello squarcio da padre di tre figli. E decido di farmi male. Cerco sulla lapide i bambini. Pochi. I giovani. Tantissimi. I vecchi. Pochissimi. Una lista di nomi che è lo spaccato di un popolo molto diverso. Anche gli stranieri spiccano. Mi impiglio su Margherete Rohrs Mader 39 anni, forse la madre di Eckeardt Mader (14) e Kai Mader (8).

Una famiglia come la mia. Vediamo se ci sono altre fam...

Angelina Marino, 23 anni
Leo Luca Marino, 24 anni
Domenica Marino, 26 anni


Tre vittime hanno il mio nome. Anche loro prendevano il treno per tornare nell'isola da cui tutti i Marino vengono. Tre Marino che, per una maniglia aperta in corsa, non sono io.

Tre Marino che siamo tutti noi.