venerdì 20 febbraio 2015

Non fare un cazzo

Un mese di CAR nel vuoto spinto di Codroipo, un mese di CAR avanzato nel vento gelido di Gemona. Da abile suonatore di trombone guardavo alla caserma a cui ero destinato, quella della Fanfara della Brigata Alpina Julia, come a una chimera. Sognavo Udine. E sognare Udine dava senso a tutto: alle flessioni nella neve, alla ginnastica alle 5.30 del mattino, all'inno nazionale cantato nella nebbia, alle irruzioni notturne nelle camerate dei caporali ubriachi, a ordini ragionevoli tipo "NEL CESTINO NON POTETE GETTARE UN CAZZO DI NIENTE", alle raffiche del mio FAL BM59 contro bersagli a forma di uomo. Io resistevo perché sapevo che presto mi sarei crogiolato nel calore della sala prove, avrei obbedito solo ai gesti eleganti del maresciallo direttore e avrei fatto un presentattarm col mio trombone d'oro, fasciato da una divisa tintinnante di ammennicoli penzolanti. Sognare Udine dava senso a tutto.

Arrivo a Udine nella primavera del 1997. Allora, per quanti sforzi facesse il Ministero della Guerra, anche in quell'isola di pace vigeva il nonnismo. In fanfara, poi, ne vigeva uno blando e creativo. C'era il topo-spia (un "topo" che si doveva svegliare prima di tutti e stare alla finestra per svegliare i nonni in caso di controllo), c'era la topo-tartaruga (un "topo" privato di attrito grazie a 4 elmetti a ginocchia e gomiti e che veniva lanciato a tutta velocità lungo il corridoio), c'era il topo-test (un'intervista sciorinata con disinvoltura da un falso ufficiale in mutande e infradito che chiedeva cose tipo: "sei contrario all'AIDS?" al fine di misurare il QI del topo). Col tempo, però, ho capito che non era alla leggerezza che quel nonnismo doveva la sua fortuna. Era per tutti una promessa di futuro. Mentre pulivamo a specchio le camerate, venivamo imbrattati da eiaculazioni di shampoo, venivamo omaggiati con generose manciate di peli di pube, sapevamo che prima o poi sarebbe toccato a noi. Avevamo la certezza che a 2-3 mesi dal congedo, niente e nessuno ci avrebbe più rotto i coglioni. In ogni piccola ingiustizia vedevamo un pezzettino della nostra meritata pensione anticipata.

Oggi il digitale grava sui miei coglioni da oltre 15 anni, quando Flash era il futuro, la call to action si chiamava bottone, la DEM si chiamava newsletter e i meme si chiamavano e-cards animate. In ufficio sono il più vecchio e sento impellente un dovere verso le nuove generazioni che mi osservano: non fare più un cazzo. Oggi dovrei stravaccarmi sul divano aziendale per diventare la dimostrazione vivente che sognare si può e che un giorno, chiuso l'ultimo pdf, non fare un cazzo sarà possibile. Al pralinato di brufoli appena uscito dall'università brevissima che si nasconde dietro il suo sapientino aziendale, al latin lover in erba che mi guarda preoccupato perché la pausa pranzo è finita da 6 minuti, allo stagista deferente che mi saluta ingoiando saliva, a tutti voi voglio dire "tranquilli ragazzi, udito l'ultimo asap, definito l'ultimo KPI, compilato l'ultimo SWOT, chiusa l'ultima conference call, anche per voi ci sarà la luce. Ognuno di voi potrà massacrarsi di Ruzzle nel cesso aziendale dalle 15.00 e alle 16.00. E il morso del senso del dovere sarà come un bacio sulla cappella".

Io sono pronto. Sono pronto a mostrarvi il sogno che meritate, sono pronto a vivere per voi in prima persona, l'ultimo vero, grande futuro a cui ragionevolmente possiamo ambire tutti.