martedì 3 aprile 2012

Emozione bottana - Ep. 2/2



Mio padre, Treviso, anni 90

Sono in pizzeria con mio padre. Mia madre è ricoverata all'ospedale da una decina di giorni. L'unico che ha notizie fresche è lui. E così, mentre mangio, vengo aggiornato.

"Sai Gianluca, i medici hanno trovato una massa... una massa. Ehh... dobbiamo prepararci al peggio..."

Il bolo mi si ferma in gola. La valvola che dovrebbe chiudere la trachea e aprire l'esofago non si decide. Vado in bagno e risolvo la cosa con mezzo bicchiere di lacrime. Torno al tavolo e riprendo a ingoiare la pizza più dura della mia vita. Il giorno dopo parlo con mia zia. Dice che non c'è pericolo di vita. E così capisco. Capisco che mio padre non mi stava informando ma stava chiedendo aiuto, che era sopraffatto dalle emozioni. E capisco che è arrivato il momento di deporre le armi, di dire addio all'adolescenza. Il mio ruolo di figlio indignato è scaduto, è tempo di essere padre. Padre di mio padre. Mi faccio coraggio e firmo l'armistizio.

Io, Treviso, anni 90
Ovvero di quando pagai per la prima volta con la carta di credito (di mamma). Per non dare alcun vantaggio all'emozione, scelgo un negozio di scarpe di campagna con commessi molto brutti. Prima di entrare mi specchio e noto già una perlatura di panico sotto il naso. Entro rigido, cercando di coordinare il movimento delle gambe con quello delle braccia... ma come fanno gli altri a camminare? I piedi sono lavati, le ascelle reggono, sfoggio la sicumera di chi vanta calzini senza buchi. Mi avvicino alla commessa biascicando un mantra:

“Vorrei quelle scarpe lì che costano 70.000 lire, vorrei quelle scarpe lì che costano 70.000 lire, vorrei quelle scarpe lì che costano 70.000 lire"

Nei primi minuti, tutto procede bene. Provo le scarpe. Faccio due passi. Riesco addirittura a chiedere un numero più grande. Il mio sorriso di marmo nasconde il dolore lancinante per gli alluci fratturati durante la prima camminata di prova. Faccio una seconda camminata, ma è una recita: quelle scarpe vanno prese a tutti i costi, quel che resta del coraggio va risparmiato per la fase del pagamento digitale. Un rallenty hollywoodiano mi porta alla cassa.

"Sono settantamila lir..."

Sono anni pionieristici: il mio portafoglio esplode in un carosello di peli, ricevute, scontrini, biglietti da visita lisi. La mia prima estrazione della carta di credito è memorabile. La tipa striscia. Io resto teso come una corda di violino.

“Carta di credito o Bancomat?”

Rispondo a casaccio e faccio per andarmene.

“Un attimo, la ricevuta”

Afferro un foglietto in zona e faccio per andarmene

“Un attimo la firma”

Firmo una superficie piana qualsiasi e… ora basta… fatemi uscire!

“Signore, non dimentichi le scarpe”

Il "signore" sbrocca. Scarpe?... Scarpe? Quali scarpe, brutta puttana? Ho estratto il minchio, hai strisciato la merda, ho firmato il robo, ho pagato tutto ciò… fammi uscire!!! Vedo la mia mano destra che le strappa le scarpe dalle mani. Con terrore, osservo l'altra mano, totalmente sconnessa dal mio cervello: ha deciso di afferrare un ombrello in vendita. So che nulla e nessuno la fermeranno. Mi allontano col furto emotivo. Piroetto. Balzo indietro. Poso il maltolto. Saluto a occhi bassi e esco distrutto. L'aria aperta ghiaccia il mio sudore.

L'emozione è bottana.

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