giovedì 23 giugno 2011

Sine felicitate

Un padre teneva per mano il figlio di 3 anni. Si avvicinavano. 30° all'ombra. Il figlio vestitissimo, si muoveva come un pinguino infartuato. Indossava capi firmati che non avevano mai avuto il battesimo del fango, lo sguardo era perso nel nulla, le labbra erano dischiuse in un sorriso che sorriso non era. Una stalattite di saliva... scendeva. Quel piccolo portava addosso tutte le ferite di un amore inesorabile e ignorante:

"Ecco qui il tuo amichetto. Come si chiama? Si chiama Edoa..."
"RDO"
"Edoardo bravo, Edoardo... Digli dove andiamo adesso, a vedere la televisio..."
"ONE"
"la televisione bravo, la televisione ... E cosa ti piace vedere? I carto..."
"ONI"

Diciamo la verità, essere snob ti fa sentire fico. Lo capisci quando leggi Astutillo Smeriglia, mio maestro a sua insaputa. Però forse ti rende anche infelice. Io non mi sono mai fatto la domanda "Giangi sei felice?". Anche se il buon Leopardi su una domanda così ha costruito una folgorante carriera, nel mio piccolo mi sono convinto che sia una domanda noiosa e inutile. Chi risponde "no" è un lamentoso da evitare (a meno che non abbia 20 anni e 2 tette da urlo). Chi risponde “si” mente oppure è davvero felice, ma non saprà mai spiegarti perchè. Meglio una "Giangi sei soddisfatto?". Meno impegnativa, più snob, più fica. Ora però, dopo avere snobbato così a lungo la felicità, sono pieno di dubbi. E se appoggio su una palla rotta il peso della snobbaggine e sull'altra palla rotta la leggerezza dell’idiozia felice, non so più da che parte mi potrebbe pendere. Insomma Elisa, Giulia, Alessandro, Cecilia, Mario, Federico, Francesca, Paola, Elvio, Roberto, Micheli, Andrei e tutti gli altri snob che dimentico... ne è valsa davvero la pena?

Eggià, perchè in realtà snob si diventa. È una scelta. Io, tra l'altro, avevo una natura lontana anni luce dalla snobbaggine. Ecco le prove. A 11 anni zia Bumba mi portò alla Fenice di Venezia a vedere l’ennesima imposizione educativa di famiglia: un'opera Wagner. Quella regia era famosa per la cura delle luci, l'originalità della coereografia, la finezza dell'interpretazione musicale, le fiche al vento delle ballerine... Curiosamente, era proprio quest'ultima scelta artistica che mi interessava. Così, all’apparire delle fiche, chi era in platea ha certamente udito la cavalcata dei miei mocassini sui legni settecenteschi del teatro. Cavalcavo felice e qualunquista verso l’angolo estremo della piccionaia. Era vitale assicurarsi una vista zenitale sui pubi. E poco male se lo scelto pubblico internazionale rise di me: “snob di merda” pensai. Poi, dopo i teatri della zia, le lezioni di disegno della nonna, i quadri di papà, le discussioni a pranzo di filosofia e politica della mamma, la carognaggine degli amici… la mia natura è stata messa a tacere, il mio umore si è inacidito ed è spuntata la snobbaggine. Fatica.

Torniamo alla bava del figlio e a suo padre. Loro non sono snob. Loro hanno tutte le risposte. Ambiente? Favorevole! AIDS? Contrario! Internet? Favorevole!… E quando un salvifico senso di vuoto li acchiappa, acquistano subito il pacchetto Sky o organizzano una puntatina a Mediaworld e il vuoto sparisce. Poco male se confondono “musica” con “canzone”, “volubile” con “volitivo” e non conoscono Adolf Hohenstein (chi? prrrrrrr…). Loro sono sereni, equilibrati e coscienti. Tanto da non disdegnare, quando è il caso, severe autocritiche: “sono troppo generoso”, “sono così tenace”, “sono maledettamente sincero”, “sono troppo buono”...

Beati loro che sono feli...
CI.

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