martedì 2 luglio 2019

Grazie al caos. Omaggio a Fabio Celenza

"È così triste essere bravi, si rischia sempre di diventare abili"
Jep Gambardella, La grande bellezza




C’è un frammento del film “La grande bellezza” che mi era sfuggito. È subito prima che Jep e Ramona scoprano le chiavi di Roma e vengano digeriti dalle sue bellezze. La scena di pochi secondi, mostra la bambina-artista in piedi su una sedia che compie in silenzio gesti piccoli e controllati davanti a una enorme tela dipinta. Il disagio che ci suscitavano le sua urla disperate e i violenti lanci di colore sembra un lontano ricordo. Le sue manine ora compongono con calma qualcosa che mi piace: un cielo, un cosmo o un paesaggio che parla di serenità e che sento vicino. Forse è perché poco prima ho assistito a quella tempesta di caos che ora questa quiete mi appartiene come un bisogno. Ora forse la tela è diventata un quadro che capisco perché contiene una storia accaduta di cui sono stato testimone emotivo. Ma mi chiedo: quella stessa tela potrebbe emozionarmi anche senza conoscere la sua genesi? Potrebbe, certo.

E se alla fine all'arte non chiedessi che questo? Cioè di inglobare il caos e di non "pensarmi" tutto. Assuefatto da messaggi edificanti, bombardato da idee geniali, tiranneggiato dall'obbligo di dire sempre "ho capito", molestato da emozioni suscitate ad arte, io oggi voglio tregua. Come un cane a capodanno, voglio la mia cuccia di silenzio, voglio deragliare dal pensiero per muovermi in uno spazio inspiegabile e finalmente tutto mio. Cerco l'autenticità del caos. 

Mi ricordo la prima volta che a Venezia ho visto il quadro Empire of Lights. Dopo 10 minuti che lo osservavo, potente come una scossa, all'improvviso mi scese un brivido lungo la schiena: avevo capito l'idea di Magritte, avevo visto la notte e il giorno assieme! Eppure... eppure il fascino del dipinto l'avevo subìto prima di vedere tutto. Il quadro mi aveva già catturato con il suo mistero e anche dopo avere capito, il mistero è rimasto. In quel quadro c'è qualcosa di magico che trasforma l'idea, per quanto potente e spettacolare, in un pretesto. Sì alla fine chiedo all'artista proprio questo: fai un passo indietro, non progettare e pianificare le emozioni, arrenditi al sorprendente e fecondo caos, abbandonati al non sento, non penso, non so. Compi un atto di fede e di coraggio: sparisci e confida, come un pazzo o un incosciente, di ritrovarti - forse - dopo. Se sarai fortunato, potresti avere catturato nella tua opera tutta la preziosità del caos. E ne sarà valsa la pena.

Lo so, ora sembra che svacco, eppure a me sembra che i meravigliosi video di Fabio Celenza facciano esattamente questo: dare voce al caos. Nati come gioco sonoro di un abile doppiatore-musicista, oggi in realtà possono esser visti anche come la più brutale critica che l'arte possa muovere al vuoto della politica; la più clamorosa dimostrazione dell’inganno della parola e del mito. E così, da caotici movimenti delle più potenti labbra del mondo, escono personaggi come "Luigi coi blu jeans", mogli che "puzzano di baronessa", mestieri tipo il “fisiopata” e mille altre cose che lasciano tutti noi... “un po' di salsiccia”. Questo per spiegarli. Ma se non si vogliono spiegare vome una storia ma si vogliono sentire come un'opera d'arte, i suoi video sono semplicemente stupendi. Ipnotici. Magici.

Tutto questo, per dire che Fabio Celenza è partito come videomaker ma è diventato un grande artista contemporaneo. Grazie al caos.


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